In questo libro si ripropongono, a partire da studi di caso puntualmente documentati ed argomentati, alcuni temi centrali del dibattito scientifico sui lasciti del passato che popolano i territori del presente di elementi contraddittori e disorganici, e pongono problemi acuti di governo degli spazi umanizzati. Forme del paesaggio, insediamenti, reti viarie, monumenti, simboli, memorie e frammenti di culture, generatisi in tempi anche assai lontani fra loro, si trasmettono inerzialmente e si ripresentano spaesati in società e territori dotati di logiche del tutto diverse. A questi lasciti plurali ed ingombranti studiosi, osservatori e decisori, in particolare quelli del nostro presente investito da processi di mutamento sconvolgenti, hanno cercato ansiosamente di assegnare un ruolo. In termini generali, lo hanno fatto situandosi in un continuum di posizioni intermedie fra i due totalitarismi dello spazio ordinato emersi a partire dai decenni a cavallo fra Sette e Ottocento: da un lato il totalitarismo degli incubi ingegneristici, che, adottando i dettami di una ragione assoluta, vanno alla ricerca dello spazio buono in quanto funzionale, e perciò emancipato dalle pesantezze e dalle irrazionalità di un passato da aggredire o risignificare radicalmente, da ridurre a collezione di luoghi puntuali privi di ogni rapporto col contesto; dall’altro quello degli incubi identitari, che immaginano il buon territorio come risultato di progetti impliciti da estrarre da un passato mitizzato, costituito di comunità che accumulano ordinatamente oggetti, saperi, simboli e memorie, e strutturano sapientemente l’ambiente circostante trasmettendolo ai loro discendenti senza depauperarne le risorse.